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Piaza de Sopra

Un nuovo sguardo

Il terzo piano di un palazzo del centro storico. Una sala completamente vuota, le pareti bianche e mute. Un silenzio ovattato e discreto, solo piccoli indecifrabili rumori così lontani da sembrare irreali. Una luce morbida penetra discreta da una finestra sulla parete principale. Si posa sulle pareti nude, scivola sul pavimento elegante, si insinua negli angoli e nelle porte di quella grande sala. Equilibrio perfetto di chiari e scuri, ombre e gradazioni di colori e di nuovo luci a fondersi e intrecciarsi come un dipinto ogni volta diverso. Punto di attrazione inevitabile, quella finestra aspetta solo di essere aperta, di concedere ad altri la vista che da lei si può godere.

Possiamo immaginare la scena: l’autore attraversa la sala vuota, i suoi occhi fissi su ciò che il vetro lascia intravedere, i suoi passi veloci, i suoi pensieri forse ancora confusi ma certi nel voler esplorare quell’intuizione. E passo dopo passo quel frammento di mondo oltre il vetro, prima quasi irreale, si fa più chiaro e preciso. Un nuovo particolare si aggiunge, un dettaglio prima nascosto diventa ora palese e congruente.

Enrico Milanesi, il nostro autore, è ora fermo davanti alla finestra.

Il vetro smorza ancora i rumori della piazza, ma non la sua bellezza ruvida e naturale, temprata dagli anni e dalla storia.

Un frullo d’ali e sagome scure che si tuffano veloci nel cielo appeso sopra i tetti delle case. Un attimo ancora, un respiro, e poi la finestra al terzo piano di Palazzo Bufalini finalmente si apre.

In un istante il silenzio opaco della stanza è sopraffatto dai suoni e dalle voci che si alzano dalla piazza. La “Piaza de Sopra”, come si suole chiamarla qui a Città di Castello. Palcoscenico di vita, punto d’incontro di storie e vicende, passioni, amori, sensazioni, che ognuno in qualche modo ha vissuto e provato in questo luogo così speciale per tutti i tifernati.

Vita e storia, come si diceva, di cui questa finestra è un elemento importante e fin’ora sconosciuto. Un elemento che per gli strani percorsi del caso, per le imperscrutabili vie e combinazioni che sembrano correre parallele alle nostre esistenze, è diventato il fulcro e il punto centrale di una narrazione fotografica dedicata alla città per il tramite di questa sua piazza e della vista su di essa, dal terzo piano di Palazzo Bufalini.

Enrico Milanesi, raffinato fotografo e tifernate doc, ha avuto l’intuizione artistica di trasformare questa finestra nel suo personale punto di vista sulla bellezza e armonia della luogo. Punto privilegiato da cui allontanarsi dalla specificità del momento per poter osservare i rivoli di umanità, le flessibili sequenze della vita di tutti i giorni e le sue variazioni con le stagioni e gli anni.

Enrico ha aperto la prima volta questa finestra il 1 Maggio 1974. Cercava uno spunto, un soggetto per delle foto della piazza. Avrebbero fatto parte, quelle foto, della sua personale ricerca sulla città, del suo percorso documentaristico arricchito da quell’approccio anche artistico e formale che contraddistingue la sua impostazione fotografica. Non pensava certo, Enrico, di avviare un progetto che lo avrebbe accompagnato per anni, mese dopo mese, stagione dopo stagione.

La vista della piazza da quella finestra fu semplicemente un colpo di fulmine, una vera illuminazione.

Guardare “Piaza de Sopra” dall’alto, le sue vie laterali strette e buie, i palazzi austeri dalle mille finestre, la torre civica simbolo inconfondibile della città, il campanile del Duomo con i suoi tratti gotici a svettare sopra i tetti delle case, il profilo incerto dei monti al confine con il blue tenue di un cielo appena macchiato di nuvole, le ombre delicate proiettate sulla pavimentazione, le esili figure che la attraversavano con ritmi e flussi quasi musicali. La maestosità della vita dispiegata in un giorno di festa appena sotto di lui. Una sinfonia di luci e suoni a fare da contrappunto al tempo che scorre inarrestabile, un caleidoscopio di frammenti di vita cittadina che per un attimo si riconoscono, si ricompongono e acquistano una loro relazione reciproca e completa davanti alla fotocamera di Enrico.

Quella fu la prima di una lunga serie di foto che nel corso degli anni si sono susseguite nei giorni, e poi nei mesi e nelle stagioni. All’alba o al tramonto, nel primo pomeriggio di primavere terse e miti o di inverni rigidi e cupi.

Ogni volta, la luce sapeva parlare nel silenzio di quella sala. E le fotografie si ripeterono negli anni, ogni volta diverse, ogni volta ricche di sfumature ed elementi che oggi, nel loro insieme raccontano la città e la sua ostinata e austera bellezza.

Ben lungi dall’essere ripetitive, queste foto hanno la delicatezza e caparbietà del voler vedere il giorno ogni giorno, di rappresentare, forse anche essere, la piazza in un continuo di osservazione che è partecipazione, amore e coinvolgimento completo. Non lo sguardo ammirato ma fuggevole e a volte superficiale di un turista. Piuttosto un appassionato seguire e corteggiare questa piazza quasi fosse umana, quasi fosse essa stessa viva e complessa e mutevole come le figure che in essa si vedono passare.

Una piazza cangiante al cambiare delle ore del giorno e del gioco delle nuvole. Una piazza le cui geometrie e forme sono plasmate e rimodellate dalle stagioni, con i colori che sbiadiscono e cambiano nel tempo e con le tracce che gli anni lasciano sulle pareti dei palazzi. Una storia solo apparentemente minimale che si snoda negli anni fino ad approdare ai nostri giorni, fino a prendere la consistenza di un lavoro completo e lo spessore di un omaggio che Enrico vuol fare alla sua Città di Castello.

Quello che Enrico ci regala è uno sguardo nuovo e un nuovo modo di cogliere ciò che troppo spesso abbiamo solo guardato ma non visto. La fretta, le contingenze, le necessità, le distrazioni: tutto allontana e distoglie. C’è bisogno a volte di una pausa, di una sospensione. Quanto basta per riprendere ritmi e modi più naturali e tali da ridare spazio alla sensibilità e alla nostra parte intuitiva ed emozionale. Quanto serve per ristabilire e consolidare legami, scremare il superfluo e cogliere l’essenziale.

E’ allora che la vera bellezza diventerà palese.

 

 

Testo a cura di Valter Scappini

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Enrico Milanesi